Essa inizia quando il cavallo ha pareggiato la forza dei posteriori e viene nella mano pari e leggero.
Posto che in Equitazione si illudono coloro che credono di poter saltare una fase, il tempo occorrente per arrivare a questa è molto diverso se trattasi di cavallo da riaddestrare rispetto a quello iniziato dalla doma: per la mia esperienza vi è una differenza di 2-3 anni perché un cavallo cominciato male tende sempre ad utilizzare i vecchi muscoli e la vecchia postura.
Molti cavalieri italiani non sanno che senza disciplina non vi si giunge mai, spesso per una male intesa equitazione naturale. Infatti la flessione delle anche deve diventare un’abitudine consolidata per il cavallo e lo potrà essere soltanto se la si mantiene per tutto il tempo dedicato al lavoro.
Quando un cavallo entra nella terza fase si sente con l’inforcatura perché le andature sono più leggere, brillanti e coprono maggiore spazio; il cavallo si muove senza bisogno di particolari sollecitazioni.
E’ sufficiente l’azione del peso del corpo resa più facile e comprensibile dal rallentamento del ritmo(cadenza) e dall’uso della schiena: di conseguenza il cavaliere avrà maggiore facilità ad entrare e scendere nella sella facendo corpo con il cavallo.
A differenza della fase precedente sono di scarsa utilità gli ausili addestrativi (barriere a terra…) ed il progresso è affidato soprattutto alla qualità dell’assetto (anche perché la mano in questa fase deve essere passiva): per questo motivo vi è nel mondo equestre, come denunciato giustamente da H. Nooren, una grande involuzione rispetto al passato (aggravata dalla straordinaria qualità dei cavalli), tanto che ho dovuto pubblicare una fotografia di cinquant’anni fa per trovare un assetto confacente.
Il lavoro quotidiano deve essere il più possibile variato, nella velocità, nell’andatura, nel diagonale e nella mano, cambiando ogni volta che il cavallo esegue bene quanto richiesto.
Il segno distintivo di questa fase è l’impulso che il cavaliere crea mandando il cavallo davanti a sé allo scopo di incrementare la tensione dorsale: vi può riuscire soltanto se scende con l’assetto e lo ferma attraverso la spinta dei talloni in basso ed avanza nella sella mediante la tensione della muscolatura dorsale che deve, quindi, essere adeguatamente rinforzata.
Proprio per questo motivo all’andatura del trotto bisogna utilizzare quello leggero perché, per un’intuizione di G. Steinbrecht quattro lustri prima di Caprilli, facilita il movimento naturale e la produzione dell’impulso che deve essere come il vapore in una pentola a pressione: la mano ne regola l’uscita che avviene naturalmente.
Quando il cavallo è in questa situazione scorre da solo, in leggerezza, tra le gambe del cavaliere (che si limita a tenerlo diritto) ed è in grado di regolare da solo l’impulso occorrente attraverso la sua iniziativa.
In questa fase può essere iniziato il lavoro su due piste, con molta moderazione, accontentandosi ogni giorno di qualche movimento ben eseguito (con il cavallo diritto). Mano a mano che si sviluppa la spinta, si possono insegnare al cavallo tutti i movimenti previsti dalla disciplina del dressage.
L’importante è mantenere sempre intatta la qualità dell’appoggio e del contatto: ad ottenerla aiuta la transizione trotto-passo allungato.
Al passo l’appoggio non è mai troppo e deve essere continuamente esercitato: è penoso vedere tanti cavalli in dressage cui, per far vedere qualche passo disteso (non allungato!), vengono abbandonate le redini.
Significa che sono fermi con la schiena (“Equitazione: tecnica-rispetto-sicurezza”). E l’elasticità della schiena è il presupposto dell’impulso!
Carlo Cadorna
Articolo fantastico da leggere e rileggere!
Arrossisco…
Si , interessante anche il richiamo a Steinbrecht, pensavo che il trotto leggero fosse una prerogativa dei Cavalleggeri ?, e chissa poi perché non è previsto nel dressage ?
Molte delle cose che scrivo le ho apprese dal mio istruttore che ha lavorato tre anni con Chammartin. L’unico vero confine tra l’equitazione naturale e quella di scuola è rappresentato dall’essere legati o meno al movimento del cavallo attraverso il giusto uso della staffa. Su questo concetto era d’accordo anche Cossilla con il quale avevo grande familiarità.
Eccomi qui a rileggere l articolo…
Sembra scritto per me! Vorrei soffermarmi su due punti: l’importanza del passo allungato ( oggi prima di trottare ho iniziato 30 minuti di passo allungato – anche sull asfalto..) e volevo chiederle perché tutti ritengono che il lavoro su due piste sia sintomo di equitazione di un certo livello (della serie se non esegui ogni giorno spalle in dentro , cessioni , groppa in fuori etc è inutile che monti!!)
Lei ha più volte consigliato l esecuzione di tali esercizi con una certa moderazione e specificatamente da ripetere con cavalli dotati di un grande ( o buon ) impulso!
Lei Sa quanta stima nutro nei suoi confronti per cui tendo sempre a limitare questi esercizi ,ma dal momento che conosce il mio cavallo,cosa è meglio per lui?
Grazie
Il lavoro su due piste è utile purchè sia eseguito correttamente: significa che il cavallo deve restare diritto. Per poter essere tale deve saper mantenere una buona tensione dorsale ed essere pari nella mano: altrimenti fletterà l’incollatura e nessun effetto sarà trasmesso alle anche(che sono quelle che bisogna ginnasticare). Il Suo cavallo deve prima imparare a sostenersi da solo… Non ha rigidità di sorta e quindi bisogna soltanto metterlo in estensione e farlo avanzare.