L’epoca odierna è caratterizzata da un grande sviluppo dell’agonismo, in tante forme diverse, e da una sempre maggiore attenzione e sensibilità nei confronti del benessere dei cavalli. Invece, prevale una certa superficialità nelle forme dell’equitazione praticate.
E questo è un controsenso, perchè il benessere dei cavalli più che i risultati agonistici, dipende interamente dalla qualità dell’Equitazione praticata. La ragione di quanto sopra risiede, a mio avviso, nel fatto che l’Equitazione è un esercizio continuo di intelligenza e di cultura del cavaliere nei confronti del cavallo.
E con l’allargamento grandissimo della base dei praticanti, queste qualità sono, in percentuale, divenute rare. Infatti, l’arte equestre consiste nello sviluppo delle andature naturali del cavallo o, se preferite, nello sviluppo dell’impulso, sotto il controllo del cavaliere.
Per procedere nello sviluppo delle andature, il cavaliere le deve conoscere in tutti i loro presupposti fisici, le deve “sentire” da cavallo e deve saper suggerire allo stesso le necessarie correzioni. Questo presuppone una conoscenza approfondita della macchina equina nonchè della sua psicologia, per poter suggerire le modalità di apprendimento più idonee.
L’arte equestre, intesa come approccio naturale e razionale nei confronti del cavallo, era rimasta ferma a Senofonte quando è comparso il genio di Federico Caprilli. Comprese che tutte le difficoltà con i cavalli nascevano dalla mancanza di insieme e inventò un nuovo assetto che, conferendo un ruolo attivo alla staffa(al contrario dei precedenti), consentiva al cavaliere di muovere il proprio baricentro in sintonia con quello del cavallo. Con questo assetto, tutte le azioni che erano costrizioni con le equitazioni precedenti, diventavano suggerimenti. Si apriva la strada per una comprensione reciproca tra cavallo e cavaliere.
L’arte equestre italiana, per ragioni storiche, ambientali e militari, non ha potuto essere trasmessa, come meritava, alle nuove generazioni. Non per questo è morta, anche se sono abbastanza rari i cavalieri e gli istruttori che la conoscono.
All’estero è stata, per lo più, applicata solo nel salto, fidando nella sempre maggiore qualità dei cavalli prodotti dalla selezione allevatoriale. Essa è peraltro l’unica che può valorizzare al massimo i cavalli sia nelle prestazioni che nella loro durata. Quindi si adatta perfettamente alle esigenze del nostro Paese, sempre costretto a fare i conti con i cavalli per via delle condizioni ambientali poco adatte per un allevamento competitivo.
E’ comunque l’unica che si adatta perfettamente alle recenti risultanze dell’osteopatia equina. Scienza giovanissima, fondata dal dott. Giniaux (Les chevaux m’ont dit – cavalivres. com) rappresenta il vero aiuto per il cavaliere.
Mentre i veterinari intervengono sugli effetti e quando il caso è di loro competenza il cavallo dovrebbe stare a riposo, gli osteopati curano le cause e prevengono gli effetti.
Le risultanze degli osteopati sono piene di sorprese per i cavalieri. I cavalli che usano abitualmente le redini di ritorno hanno problemi ai navicolari. L’uso prolungato di strumenti che tengono a lungo l’incollatura in una posizione bassa provoca gravi lesioni dorsali. Il ricovero dei cavalli in box piccoli, provoca lesioni vertebrali. Il compiere, da parte del cavallo, movimenti in stato di tensione o di eccitazione può provocare lesioni vertebrali. Lo stesso l’uso di selle non idonee. Far lavorare il cavallo con le falangi non allineate provoca gravi lesioni alle stesse. Le lesioni vertebrali hanno conseguenze nell’apparato digestivo ed urinario e sono, spesso, la causa delle coliche.
Tutte queste risultanze, di grande importanza per l’Equitazione, sono ignote alla FISE. Molti istruttori non sanno che non è la posizione bassa dell’incollatura a facilitare l’impegno dei posteriori, bensì il gesto di estendere l’incollatura. La foto che allego, rappresenta un caso medio: l’istruttore del binomio fotografato, è uno dei migliori cavalieri. Eppure è evidente il risultato negativo: il cavallo è sulle spalle ed i posteriori sono andati….al mare.
Le redini di ritorno sarebbero dannose solo per il cavaliere soltanto se venissero usate come un’indicazione: ma questo non è affatto facile. Il cavallo dovrebbe lavorare sulle redini normali. Eppure sono consentite, anche per saltare (vedi reg. FISE 24/03/2015, categorie giovani cavalli): quando il cavallo scatta può usare soltanto la forza dei garretti(provate a saltare con le braccia legate).
Quando si riceve, non potendo riportare indietro il peso della massa sollevando l’incollatura, sugli anteriori graverà tutto il peso moltiplicato dalla forza cinetica. La FISE dovrebbe preoccuparsi, non solo per l’evidente maltrattamento (trattamento non etologico), ma anche per l’ignoranza che il loro uso medio dimostra (“Il benessere del cavallo è soltanto una bella parola?”).
Carlo Cadorna
Ancora un’altra controindicazione sulle redini di ritorno. Eppure, nonostante tutti ne prescrivano un uso molto attento e magari un “non uso” anche usandole (Tu, giustamente, dici che dovrebbero essere eventualmente solo un’indicazione per il cavallo, Michel Robert dice che sono un buon strumento a patto di poterle non usare….), se poi però uno fa un giro in qualche maneggio o, come fai vedere nella foto, in qualche campo prova di concorsi, finisce che qualcuno che le usa lo trovi sempre e … come tira!
Filippo Gargallo
Le redini di ritorno, come qualsiasi altro strumento ausiliario, non sarebbero negative soltanto se costituissero soltanto un’indicazione e non una costrizione. Ma un cavaliere che sa usarle in questo modo, non ne ha bisogno….