Tutti gli appassionati di cavalli, qualsiasi specialità frequentino, sono gravemente ammalati di un morbo inguaribile: l’amore per il cavallo.
Ma i modi di esprimere questa passione sono molto diversi a seconda della cultura, dell’esperienza e della sensibilità degli interessati. Basti pensare che tutti i cavalli hanno una struttura fisica e psicologica simile. Dovrebbe, di conseguenza, esservi un unico sistema di equitazione, che rispetti le summenzionate caratteristiche. Fino ad ora, il motore per la scelta del sistema di equitazione da adottare è stato rappresentato dalle tradizioni e dall’agonismo: ma sappiamo che né l’uno né l’altro hanno una stretta correlazione con il corretto impiego, e quindi col benessere del cavallo.
Solo il diretto interessato, il cavallo, può dirci se sta bene, se è felice oppure no (“Viaggio nel futuro dell’addestramento del cavallo”). Tempo fa ho spostato il mio cavallo da una scuderia interna ad una esterna, inondata di sole. La felicità gli ha acceso gli occhi che scintillavano al sole. Successivamente sono riuscito ad ottenere un recinto 4×4 sotto la tettoia: il successo è stato completato quando, a pochi metri, è stato ricoverato un branco di pony!
Quindi è facile, per chi vi dedichi un po’ di interesse, comprendere il linguaggio del cavallo. Egli ci comunica irritazione con le orecchie portate indietro, fastidio con la coda se la ruota in continuazione, dolore se scalcia; il suo corpo mostra pelo lucido e muscolatura tonica se lavora in modo giusto. Altrimenti uscirà dal box con i posteriori di un paralitico. I suoi occhi sono lo specchio della condizione psicologica.
E’ di particolare importanza, per valutarne lo stato psicologico, il suo comportamento quando andiamo a prenderlo nel box per affrontare il lavoro quotidiano. Dovrebbe attenderci di buon umore ed impaziente di uscire. In caso contrario, c’è qualcosa che non va. Se è sdraiato, è stanco. Se ci presenta il posteriore, associa il lavoro a qualche dolore.
Durante il lavoro, tutte le difese sono dovute a dolori piccoli e grandi: bisogna tenere nel debito conto che il cavallo ha una capacità di sopportazione del dolore molto superiore alla nostra. Un cavaliere degno di questo nome, deve saper risalire dagli effetti alle cause. E’ intollerabile vedere in televisione cavalli che scalciano dopo il salto con il commento ironico del conduttore.
Se un cavallo scalcia, è per liberarsi da un fastidio, è la risposta ad un dolore. Sarà poi un caso, che quasi tutti i cavalli che scalciano, sono montati da cavalieri che stanno dietro al baricentro del cavallo?
E’ altrettanto intollerabile vedere riprese di dressage, giudicate eccellenti, con il cavallo che rotea vorticosamente la coda perchè la coda è la continuazione della colonna vertebrale e ne rispecchia le rigidità (se non è completamente rilasciata) o che morde nervosamente il ferro facendo il caratteristico rumore.
Il funzionamento della struttura meccanica del cavallo dipende da quello delle sue “cerniere”, che, a loro volta, possono funzionare se è corretto l’uso che il cavallo fa della sua linea dorsale. Quando le cerniere funzionano, il cavallo ha facilità a trovare l’equilibrio ed a raccogliersi. Quando è raccolto, è all’ascolto del suo cavaliere che può comandarlo con la semplice ed invisibile azione del peso del corpo.
Nelle categorie delle sei barriere, possiamo osservare quanti cavalli non sanno usare né la linea dorsale, né le cerniere e, di conseguenza, saltano a quattro gambe facendo degli sforzi terribili ed innaturali.
Non è questa l’Equitazione! Essa è invece l’arte di comunicare con il nostro cavallo: un amico fraterno, non uno strumento per l’affermazione delle nostre ambizioni.
Carlo Cadorna