Dell’azione passiva del peso del corpo ho parlato in articoli precedenti (“L’azione del peso del corpo” – “L’atleta è il cavallo”). L’azione attiva la potete comprendere se salite su di una bilancia e fate un movimento dall’alto in basso: vedrete che l’indice del peso sale.
Questo dimostra che non è vera la tesi dei sostenitori dell’equitazione di scuola secondo i quali, poiché il cavaliere è portato dal cavallo, l’azione del cavaliere sarebbe nulla. In altre parole aveva ragione Caprilli (“Caprilli: genio incompreso”) a sostenere che, per non disturbare il cavallo permettendogli così di sviluppare l’impulso, il cavaliere si deve muovere il meno possibile rispetto al baricentro del cavallo.
Vale tuttavia la pena di analizzare gli effetti del peso attivo. Il grande caposcuola La Guerinière (Scuola di Cavalleria) fu il primo a regolare l’impiego degli aiuti di peso consigliando di armonizzarli con i movimenti del cavallo contando le posate. Negli anni ’80 ho fatto amicizia con un tecnico-istruttore-scienziato francese, Paul Veillas, proprietario di una scuderia da dressage (Des Balances) che aveva apprezzato il mio modo di montare. Questo signore, autore di un libro “Les aides de poids”, ha studiato nei minimi dettagli l’impiego degli aiuti di peso ed ha brevettato uno strumento elettronico –approvato ed adottato dalla scuola di Saumur- per imparare da terra l’impiego di questi aiuti abbinato alle posate del cavallo. Viene precisato che il peso portato sulle staffe agisce sul treno anteriore del cavallo mentre quello portato sulla seduta agisce su quello posteriore.
Ho voluto citare questo studio perché la maggior parte dei cavalieri italiani usa il proprio peso in modo attivo. Ricordo che in questo modo si blocca il funzionamento delle cerniere alte ed il cavallo non riesce più a coordinarsi (“Cross country: equitazione in declino?” “L’equitazione nell’ottica delle funzioni” “Equitazione: tecnica, rispetto, sicurezza”).
Ma allora, qual è la strada giusta? Quella dell’aiuto passivo che consiste essenzialmente nel fermare l’assetto nella più completa decontrazione(“L’azione del peso del corpo”). Ma qui si nasconde la vera difficoltà! Gli istruttori della vecchia generazione usavano sostenere che il metodo naturale è più facile perché più semplice; ma non è così perché l’assetto deve essere capace di mantenersi attivo nella parte bassa e passivo, ma pur sempre inserito nel movimento (altrimenti diventa un peso morto), in quella alta. In altre parole il cavaliere deve sollecitare l’impulso esclusivamente con le gambe(che iniziano dalle reni) e lasciarsi portare, con leggero ritardo (per aiutare la riunione), il busto.
Cosa più facile a dirsi che a farsi: tanto è vero che in tutta la mia vita ho visto un solo cavaliere che sapeva interpretare perfettamente questo concetto: Piero d’Inzeo. Era maggiormente evidente sul salto: riusciva ad essere leggermente in ritardo nella prima parte per aiutare lo stacco del treno anteriore ed il caricamento di quello posteriore. Ma nella seconda parte, grazie ad un’incredibile elasticità di schiena, riusciva ad avanzare moltissimo con le mani per assecondare l’estensione dell’incollatura ed il conseguente sollevamento della schiena del cavallo. Non a caso il grande scrittore Luigi Gianoli lo descrisse “plasmato sul cavallo”.
Carlo Cadorna
Di fatto la figura che si viene ad ottenere è una figura spezzata, ancorchè con una continuità fisiologica, ossia non come nello sci, piuttosto come nello stile a delfino del nuoto (un pò arditi questi paragoni, lo ammetto!). Una figura più semplice da ottenere nel galoppo sull’inforcatura piuttosto che in quello seduto, direi.
Filippo Gargallo
Mi piace l’idea del delfino perché, a fattor comune, a fare da raccordo c’è sempre la zona lombo-sacrale.