Ho assistito, nei giorni scorsi, alla prova di cross-country dei completi di Burghley e di Montelibretti: sono rimasto inorridito da quello che ho visto nel primo, confermato, seppur con conseguenze meno scioccanti, nel secondo.
E’ stata la passerella dei cavalli che non erano tecnicamente in grado di affrontare prove di quel livello perché galoppavano e saltavano imbarcati, con i posteriori lontani e quindi non in grado di avvicinarsi ai salti e misurare la propria falcata, cosa che, in campagna, è indispensabile (“Equitazione: tecnica, rispetto e sicurezza”).
Per comprendere le origini di questo vero e proprio declino equestre, occorre fare un salto indietro nella storia dell’arte equestre ed arrivare alla metà dell’’800, quando in Francia si contendevano il primato due capi scuola: il conte D’Aure e Francois Baucher. Il primo era il miglior rappresentante dell’equitazione classica che allora si stava confrontando con l’esigenza di uscire dai maneggi e di andare a saltare in campagna. Il secondo era un cavaliere da circo di particolare tatto equestre che aveva inventato un metodo nuovo per sottomettere i cavalli distruggendone, per il tramite delle flessioni, le resistenze di ogni parte del corpo presa separatamente. In questo modo eliminava gli effetti e non le cause.
Baucher ebbe grande successo perché il suo metodo consentiva di sottomettere il cavallo in poco tempo, ma non dovette mai confrontarsi con il salto e ne sarebbe uscito sconfitto perché il suo metodo distruggeva l’impulso interrompendone, con le flessioni, i mezzi di trasmissione.
D’Aure, invece, propugnava non la sottomissione ma la collaborazione del cavallo ed è stato perfezionato da Caprilli con un assetto che libera non solo la bocca, ma anche la schiena del cavallo.
Baucher ebbe quindi grande seguito soprattutto nel mondo del dressage (oggi soprattutto nella scuola olandese che fa capo a Gal) che è stata tuttavia, per molti anni, una specialità a se stante. Recentemente, invece, è stato fatto passare il messaggio che il dressage sarebbe la base di tutte le altre discipline: di conseguenza è invalsa l’abitudine di lavorare le diverse parti del cavallo separatamente distruggendone le resistenze con la flessione dell’incollatura ottenuta con le redini di ritorno (o roll-kur).
La conseguente distruzione dell’impulso viene compensata con un uso eccessivo dell’azione dell’assetto allo scopo di impegnare i posteriori del cavallo. Questa azione, utilizzata soprattutto al galoppo, dovrebbe, nel pensiero dei cavalieri che la praticano, ottenere la riunione. Niente di più errato: la riunione (flessione delle articolazioni alte posteriori) si ottiene attraverso l’esercizio della mezza fermata e del successivo far avanzare il cavallo.
Con la costrizione dell’assetto si ottiene soltanto un maggiore impegno dei garretti che, sovraccaricandoli, toglie loro una parte della capacità di spinta in avanti (leggi “L’equitazione nell’ottica delle funzioni”- “Equitazione: tecnica, rispetto, sicurezza”). Quindi la locomozione diminuisce anziché aumentare e rendere possibile il lavoro in discesa degli aiuti che è l’unico veramente efficace.
Inoltre, questione cruciale nel caso del completo, abitua il cavallo ad utilizzare separatamente treno anteriore e treno posteriore senza nessuna possibilità di coordinamento tra i due.
Infine, poiché il movimento imposto ai garretti è innaturale, il cavallo tenderà, galoppando in campagna, a dimenticarselo molto presto senza peraltro avere adeguatamente esercitato i muscoli che dovrebbero farlo avanzare.
Di qui la tendenza di molti cavalli a galoppare con la schiena rigida ed imbarcata: in questa postura il cavallo non copre spazio ed è in difficoltà nelle combinazioni, soprattutto nell’acqua(perché sottrae impulso) e nell’avvicinamento agli ostacoli profondi con la tendenza a partire da lontano perché avvicinandosi dovrebbero usare la schiena che non è esercitata a flettersi (“Equitazione: tecnica, rispetto, sicurezza ” 03-2011).
A Burghley alcuni cavalli sono partiti da lontano per saltare il muro preceduto da fosso: l’ostacolo più facile per un cavallo ben preparato perché il fosso fa da invito. Partendo da lontano non sono riusciti a coprire il muro cascando nel fosso con il cavaliere! Scene apocalittiche anche in una combinazione nell’acqua.
A Montelibretti un disegnatore di percorso molto bravo ha fatto sì che questo genere di cavalli venisse presto eliminato (la metà dei partenti).
Ma poiché questi spettacoli non sono più accettabili nell’interesse della disciplina, anche per evitare possibili incidenti gravi, si impone un metodo di selezione più efficace di quello attuale delle qualifiche. Questo soprattutto per le categorie a tre e quattro stelle ove la qualità dei cavalli non può compensare un addestramento mal concepito.
Concludo con una nota positiva: tra i pochi cavalli che galoppavano bene a Montelibretti mi ha ben impressionato Road Runner montato dalla giovane amazzone Carola Brighenti.
Perfetta, come sempre, l’organizzazione messa in atto dal Centro Militare di Equitazione.
Carlo Cadorna
Complimenti Carlo !! Ho trovato la tua disamina della meccanica equina veramente eccellente. Spero vivamente che molti leggano questo articolo e che ciò li invogli ad approfondire l’argomento e soprattutto a farsi venire dei dubbi e pertanto a migliorare.
Perchè non ti candidi nella nuova dirigenza FISE Nazionale o almeno in quella della Regione Lazio ? C’é bisogno di persone con la tua esperienza e conoscenza !!!!
Un caro saluto.
Grazie Maria Cristina! Lascio la FISE ai più giovani ma sono aperto ad ogni collaborazione.
Tutto giusto naturalmente ! Io sono stato allievo del Gen. Mario Maria Rossi per molti anni e non mi Ha mai fatto usare una volta le redini di ritorno . Stessa cosa con il Mar . Antonio Oppes . Il Gen. Rossi mi diceva sempre : chi sa usare le redini di ritorno non le usa ! Ora faccio l’istruttore eda sempre evito l’uso delle redini di ritorno . Forse perche’ non le so usare ! Scusate questa mia esternazione , cordiali saluti.
Ha avuto la fortuna di incontrare due grandi istruttori: oggi ce ne sono 11.000 ma nessuno come loro!
La sua esposizione è chiara come sempre, e mi associo all’invito ad una maggiore presenza in FISE. Ho visto in rete i filmati delle prove di XC di Burghley ed alcuni passaggi al Cottesmore Leap fanno venire i brividi, oltre che ringraziare S. Giorgio!
Rileggendo l’articolo che ha segnalato ho ripensato alle dichiarazioni di Vittoria Panizzon, successive alla prova di Montelibretti dello scorso febbraio, quando lamentava una eccessiva considerazione del dressage, spiegando che lei aveva preferito allenare la sua giovane cavalla Borough Pennyz (9aa.) soprattutto a cavarsela da sola in campagna, senza bisogno di eccessivi interventi, e mi piace ricordare che sono state il miglior binomio (11°) dell’equitazione italiana a Londra 2012.
(A proposito di redini di ritorno ricordo che Theodorescu le definiva l’anticamera dell’inferno.)
Tornando ai percorsi di campagna,ho avuto la fortuna di poter assistere alla prova del CICO 3* di settembre a Montelibretti, anch’essa caratterizzata da molti problemi che dovrebbero far ripensare ai criteri di selezione dei binomi per accedere alle categorie più difficili del Completo. A febbraio, si trattava di un CCI 3*, la diversa qualità dei binomi (Hoy/Rutherglen per dirne uno) aveva fatto godere di ben altro spettacolo tecnico. Forse bisognerebbe anche ripensare alla formula dei CIC, pensando un pò più ai cavalli, che prevedono troppi ostacoli e salti in distanze troppo brevi (Montelibretti CCI 3* feb.2012: mt. 5130, 28 ostacoli, 37 salti; CICO 3* set. 2012: mt. 3910, 25 ostacoli, 36 salti)?
Grazie come sempre dell’ospitalità e cordiali saluti,
giuseppe maria de nardis
Preciso che io non ce l’ho con il dressage: ci mancherebbe altro (leggi “Grazie Inghilterra”). E’, o meglio dovrebbe essere, l’università dell’equitazione. Ce l’ho con la cattiva equitazione, quella che non rispetta le naturali attitudini dei cavalli. Theodorescu è un grande uomo di cavalli e la figlia è appena stata nominata coach della squadra tedesca.
Ma ci sono tanti personaggi, purtroppo anche in casa nostra, che hanno trasformato il dressage in circo equestre. Ma i microfoni di Londra li hanno scoperti!!
So che la Panizzon ha preparato le olimpiadi lavorando in collina ed è stata premiata la Sua intelligenza da una grande prestazione, apprezzata da tutta la stampa internazionale.
Come sempre un articolo molto ben spiegato sia in punto di tecnica sia in punto di chiarezza. Più che ai completisti, poi, sembrerebbe un suggeriemnto ad approfondire lo studio della biomeccanica del cavallo ai dressagisti (e quindi a quei completisti che si rifanno ai dressagisti).
Filippo Gargallo
Vale per tutti i cavalieri, anche quelli di S.O. Il lavoro seduto è utile per aumentare l’impulso, non per assicurare l’equilibrio perchè le cerniere funzionano soltanto se la schiena è libera: è la grande intuizione di Caprilli(ma già anticipata da Steinbrecht)!
Caro Carlo, io trovo che molti oggi confondono il lavoro in piano con il dressage. Che sia il risultato di una scarsa cultura equestre ? Ne riscontro purtroppo molto spesso la carenza .
Cordiali saluti da un vecchio amico NEO nonno.
Mi impegno a trasmettere a mio nipote qualche nozione in più di quanto potranno fare gli eventuali “suggeritori” che conoscono alla perfezione non tanto
l’ Equitazine quanto il mercato del cavallo .
Rolando
Caro Rolando, prima di tutto mi fa piacere sentirTi. Il tema da Te sollevato è antico. Avendo praticato entrambi, credo che la verità stia in quello che è scritto in Equitation Academique di Decarpentry, considerato la bibbia del dressage. In questo testo autorevole si dice che può affrontare il dressage il binomio che sia già addestrato in modo perfetto nell’equitazione “d’exterieur” cioè il completo. Quindi che abbia raggiunto la riunione. Invece è successo che vengono abitualmente applicati i metodi del dressage all’addestramento di cavalli ancora in formazione di base, con risultati disastrosi. La causa è certamente la mancanza di una cultura equestre, ma anche di una disposizione mentale, italiana, poco intelligente e chiusa alla fatica di ragionare.
Mi congratulo vivamente per il nipote che sicuramente sarà un prossimo grande cavaliere!
Le redini di ritorno sono una forzatura per la quale la risposta è l’irrigidimento della schiena. Ho avuto la fortuna di essere allievo per un periodo breve, alla Farnesina del Gen Mario Maria Rossi, amico di mio padre, mi faceva fare un esercizio che è rimasto nel mio lavoro: una combinazione dentro-fuori cortissima con in uscita un passaggio di sentiero al contrario cioè la prima barriera alta e piuttosto impegnativa e la seconda bassa e larga in modo che il cavallo dopo una considerevole riunione doveva poi spingersi distendendosi per superare la distanza della barriera successiva. Tranne che per l’avvicinamento l’uso delle redini era possibile solo per seguire la bocca del cavallo! Tutto ciò nella giusta progressione di vari salti.
Conoscevo benissimo il Gen. Rossi, grande istruttore e soldato: comandava il posto di sbarramento di Monterosi durante la vittoriosa difesa di Roma della divisione Ariete.
L’esercizio proposto è eccellente perchè richiede al cavallo il massimo uso della funzione di flesso-estensione ed il massimo uso della schiena. Proprio per questo motivo è consigliabile con cavalli che hanno già sviluppato una buona muscolatura dorsale. Delle redini di ritorno, strumento di tortura, ho parlato negli articoli sull’addestramento.
Vero Soldato, aveva fatto anche la campagna di Grecia! Avevo già letto con totale approvazione il suo dotto giudizio sulle redini di ritorno!
Caro Carlo,
sono molto interessato ai tuoi ragionamenti.
Come tu forsi ricordi avendo fatto vari completi assieme,ed essendo stati esposti alla cultura ,sensibilta ed etica equestre del Marchese Fabio Mangili,del Generale Lucio Manzin,degli Angioni,Argenton, Grignolo, Costantini ,Roman ed altri…(oltre aver visto personalmente il grandissimo Graziano Mancinelli piangere su una panchina pochi minuti dopo aver vinto l’oro a Monaco con Ambassador),mi e’ sempre rimasto impresso il concetto di” lasciar fare al cavallo” nell’avvicinarsi al salto per trovare il proprio equlibrio specie se non si e in piano(in completo si paga un errore anche con cazzotti destruenti…perché le barriere non cadono!).
Per ragioni e con dovizia di particolari- che non possono essere contenuti in questo breve commento- quello che tu dici potra’ essere espresso in modo non solo qualitativo ma anche quantitativo con misure di parametri biomeccanici misurati sul cavallo scosso e/o montato. Oggi e’ possibile( con modesto sforzo tecnologico) valutare in modo quantitativo il comportamento del cavallo e del cavaliere da videoclip.
Ho recentemente approfondito l’argomento aiutando nella stesura Daniela Villa per una tesi(NUOVE TECNOLOGIE NELL’INSEGNAMENTO DELL’EQUITAZIONE :UTILIZZO DI VIDEOCLIPS. TECNOLOGIA, ESPERIENZA PERSONALE , ASPETTI PEDAGOCICI) nell’ambito dei requisiti per il diploma di Istruttore di 2 grado(Lombardia).Questa tecnologia,complementare non sostitutiva al colpo d’occhio ed esperienza,penso puo’ e potra’ in futuro consentire analisi molto profonde ed oggettive dei fenomeni oltre ad aiutare a prevedere le potenzialita’/attitudini di un cavallo giovane,l’efficacia di un lavoro e la guarigione dopo un trauma.
Un caro saluto
Paolo Pignoli
Caro Paolo,
quanto allo sviluppo della collaborazione del cavallo, noi, oltre ad aver avuto istruttori che oggi non ci sono più, abbiamo potuto usufruire degli insegnamenti di quella eccezionale palestra che era lo steeple: ci aiutava a comprendere come si fa a combinare la velocità con l’equilibrio. Peraltro, sul piano meccanico, la capacità del cavallo di aggiustarsi da solo è strettamente legata alla capacità dello stesso di mantenere una buona estensione d’incollatura.
La tesi di cui mi parli mi interessa molto: come potrei fare per averne una copia?