Osservando i percorsi dei campionati dei giovani cavalli si è potuto apprezzare qualche cavallo ben preparato e ben montato: il meravigliarsi di ciò, costituisce già un fatto apparentemente anomalo. In realtà deriva dalla differenza con la prima categoria nella quale apprendiamo che i cavalli vengono mandati in pensione a 13/4/5 anni che, per un cavallo da competizione, dovrebbe essere l’età migliore.
Per chi ha la memoria corta, quasi tutti i vincitori dei campionati e delle olimpiadi hanno raggiunto e superato quell’età. Cercherò di spiegare questo dato di fatto.
L’Equitazione non l’abbiamo inventata noi ma era già arrivata ad un buon livello a metà dell’800 ed ha raggiunto il suo massimo splendore alla fine degli anni ’30. Poi, purtroppo, la guerra ha fatto tabula rasa e la fine delle scuole militari ha fatto il resto. Le scuole civili non hanno saputo o potuto realizzare quella disciplina che è indispensabile per creare le premesse della pratica di un’equitazione in linea con la migliore tradizione.
Ho parlato di tradizione perchè senza di essa non si può avere piena conoscenza dei principi che regolano l’equitazione: essi si sono evoluti e sono stati fissati nel corso dell’800 dalla scuola di Versailles (Conte D’Aure) e da quella di Pinerolo (Caprilli ed allievi) che ne ha raccolto e migliorato la tradizione.
Il cavallo si compone di un treno anteriore che ha la funzione di riequilibratore, di un treno posteriore che costituisce un motore a due cilindri e di un’incollatura che, come le braccia in un atleta umano, ha la funzione di armonizzare il rapporto tra questi due elementi costitutivi attraverso l’oscillazione della linea dorsale.
Il voler destinare il cavallo ad un’attività sportiva, presuppone la necessità di sviluppare al massimo la sua capacità di spinta, ovvero il funzionamento efficace del motore. Il presupposto è che i due cilindri imparino a lavorare allo stesso numero di giri che poi dovranno essere gradualmente aumentati fino a raggiungere la massima potenza. Questo obiettivo potrà essere ottenuto soltanto se il risultato della spinta (una tensione) viene contenuto da una mano pari che, quindi, sia in grado di pareggiare la spinta.
Se la spinta non viene pareggiata, il cavallo utilizzerà sempre più in prevalenza il posteriore più forte mentre l’altro tenderà ad atrofizzarsi costringendo il cavallo ad effettuare degli sforzi incompatibili con il suo benessere fisico. Quando si otterrà il pareggio il cavallo tenderà a disporre la sua linea dorsale ad arco: la migliore postura per sollevare la base dell’incollatura e flettere le anche, i due elementi costitutivi del salto ideale. E’ bene precisare che la flessione dell’incollatura annulla la possibilità della mano di pareggiare la spinta: è questo un fatto che pochi cavalieri comprendono.
Il dramma dei cavalli dell’epoca moderna è che i cavalieri od aspiranti tali, rifuggono dalla tradizione e si affidano ad una letteratura in massima parte derivante da esperienze parziali e legate a cavalli di grande qualità: siamo alla pratica dell’assumere un comportamento perchè “si è sempre fatto così” ignorando che la guerra ha cancellato le buone tradizioni. Ho avuto il privilegio di vedere un cavallo (scartato dalle corse) lavorato dal grande ecuyer del Cadre Noir, Col. Margot nel periodo nel quale l’influenza caprilliana sulla scuola francese era massima: si muoveva come un cerbiatto coprendo sempre lo spazio massimo e senza che si notasse alcuna restrizione nemmeno nelle andature su due piste, nelle quali parte della spinta va verso l’alto. Oggi si vedono soltanto dei cavalli con un’attitudine straordinaria ma privi di leggerezza e sempre pesanti sulla mano (incollature gonfie).
La prova provata di questa mancanza di cultura risiede nell’abitudine consolidata dei cavalieri di lasciarsi sfilare le redini quando il cavallo preme sulla mano: sarebbe invece il momento ideale per opporre alla tensione l’azione dell’assetto (azione del peso del corpo) ed ottenere così un maggiore impegno di entrambi i posteriori. L’azione di lasciarsi sfilare le redini è utile soltanto con i puledri che devono trovare l’equilibrio (la cadenza) attraverso l’estensione dell’incollatura.
Ma l’azione del peso del corpo presuppone un assetto che sappia scendere sulle staffe e fermarsi avanzando nella sella: un problema insolubile per tutti quei cavalieri che non appoggiano nemmeno i piedi sulle staffe (e la gamba va indietro).
Per fortuna vi è ancora qualche raro cavaliere che sa montare a cavallo: si può ammirare su you tube l’amazzone americana Bezzie Madden su Darry Lou, soprattutto osservando la mancanza di sforzo nel cavallo pur saltando ostacoli di 160 m.
Carlo Cadorna
P.S. Debbo aggiungere che tutti i cavalieri che non hanno un assetto che li unisca dinamicamente al cavallo, si procurano gravi lesioni alla colonna vertebrale.
E’ proprio vero. Alla grande crescita della capacità allevatoriale corrisponde una diminuzione della qualità tecnica di chi monta. Chissà in quali categorie vedremmo oggi cavalli come Merano e Posillipo.
Anche l’allevamento italiano sta conseguendo risultati di rilievo anche se non è sempre facile capire l’origine dei cavalli italiani a causa del coacervo di sigle che li identificano (beati i francesi: SF).
Un fenomeno simile riguarda le corse: i tempi sono sostanzialmente fermi da 40 anni. Sarà l’oggetto di un prossimo articolo. Per quanto riguarda l’allevamento sarebbe più corretto di parlare di cavalli allevati in Italia.